L’innovazione, in qualsiasi campo, passa anche attraverso la sperimentazione di idee semplici applicate a tecnologie complesse ma di uso comune. E’ la logica che ha spinto il Dipartimento di Scienze dell’Università di Roma Tre ed Aerovision srl, un’azienda nata nel 2013 all’inizio della diffusione in Italia degli APR, i cosiddetti “droni”, a mettere insieme le proprie competenze nella sperimentazione di sensori in grado di monitorare la presenza di micro- e nano-particelle nell’aria.
Non solo l’ormai conosciuto “particolato” solido, Il PM10/2.5, per intenderci, ma anche particelle più piccole, e perché no anche i virus.
Tutto parte da Cecilia La Bella, studentessa del Corso di Laurea in Scienze Geologiche e pilota di droni con attestato ed abilitazione alle operazioni critiche, conseguito presso Aerovision. Cecilia ha aderito con grande entusiasmo al progetto di ricerca “Realizzazione di nuove tecnologie per il monitoraggio ambientale” attivo da anni a cura del Prof. Giancarlo Della Ventura, relatore della sua Tesi di Laurea in Mineralogia ambientale. Viste le sue competenze nel pilotaggio dei droni, Cecilia ha creato un cortocircuito tra le attività di sensoristica dell’Università e la Aerovision, in seguito al quale è nata l’idea di installare a bordo di un drone un modulo per la misurazione delle particelle sospese nell’aria, in grado di trasmettere a terra in tempo reale le informazioni catturate in volo.
Su indicazioni dei nostri tecnici” ci dice Loredana Scaffa Amm.re di Aerovision, “l’equipe del Prof. Della Ventura, in collaborazione con i tecnici del Laboratorio di Oceanografia Sperimentale dell’Università della Tuscia, coordinato dal Prof. Marco Marcelli, ha realizzato uno strumento in grado di eseguire campionature molto precise, che sebbene vada ancora ottimizzato in alcuni aspetti”, come ci conferma la stessa d.ssa Scaffa, “è già stato testato con successo”.
Il sistema è alimentato da batterie ricaricate attraverso un pannello solare ed è composto da due distinti apparati; il primo è costituito da un sensore in grado di misurare la quantità relativa di PM1, PM2,5 e PM10 presente nell’aria tramite interferometria laser; i dati, corredati di coordinate geografiche, temporali e altitudine, grazie ad un minuscolo GPS alloggiato accanto al sensore, sono trasmessi ad un PC a terra per mezzo di una SIM, gestita da un microcontrollore di tipo Arduino.
Il secondo apparato è invece in grado di campionare, attraverso “un vistoso imbuto in alluminio” dotato di un filtro rimovibile, le particelle presenti nell’ambiente. Il sistema aspira l’aria grazie ad una piccola pompa elettrica con una portata di un litro e mezzo di aria al minuto. “Il filtro attualmente installato”, ci spiega il professore, “cattura particelle fino a 0,7 micron, quindi anche le micidiali polveri sottili PM1 e 2,5 per non parlare, ovviamente, del ben più… “grande” ma non meno pericoloso PM10”. Alla fine del campionamento, il filtro viene rimosso ed analizzato in laboratorio tramite un microscopio elettronico, in modo da ottenere oltre alla quantità, anche la morfologia e la composizione chimica delle singole particelle. In futuro si prevede di testare l’uso di filtri con porosità molto più piccole e quindi in grado di catturare anche i virus che hanno dimensioni da 0,1 a 0.6 micron.
Di nuovo una bella collaborazione tra mondo pubblico e privato, realizzata grazie all’entusiasmo di un appassionato professore universitario e di una intraprendente giovane studentessa che, grazie ad una azienda che opera nel mercato degli APR ormai da 7 anni e che ha grande esperienza sulle potenzialità e sui limiti tecnici e normativi degli APR, speriamo porti a migliorare la qualità della vita di una umanità in veloce rotta di collisione con la sostenibilità dell’ambiente nel quale ha intenzione di vivere nei prossimi anni.